Artisti in cucina

By Matthew Moss, Art Monte-Carlo


Samuel van Hoogstraten (Dordrecht 1627 –78).
Pittore nel suo studio che dipinge un doppio ritratto.
Il suo apprendista sullo sfondo sta mescolando i colori dell’artista su una pietra da macina.
Acquerello seppia. Musée du Louvre.

 

L’autore romano, Plinio il Vecchio, nota come gli artisti sapessero che pigmenti, come ad esempio il cinabro, fossero molto velenosi.

I pittori sapevano da secoli che i materiali che maneggiavano erano tossici. La letteratura artistica abbonda di resoconti di artisti che si sono avvelenati, ad esempio, tagliando un pezzo di formaggio con lo stesso coltello che usavano per tagliare il  pigmento a base di biacca. I primi studi sulle lesioni legate al lavoro a partire dall’inizio del 18° secolo notarano che i modi più facili per gli artisti di uccidersi accidentalmente o di danneggiare la loro salute fu di maneggiare e assorbire involontariamente pigmenti tossici in polvere come il bianco a scaglie, il giallo cromo o l’orpimento (creato da arsenico e zolfo).

Nell’Inghilterra degli anni cinquanta, ispirata dall’opera teatrale Look Back in Anger di John Osborne del 1956, emerse una scuola di pittori espressionisti conosciuta come la Kitchen-Sink School. Guidati da John Bratby e Derrick Greaves, essi presero come ispirazione artistica l’immaginario urbano della classe operaia. All’inizio del XX secolo, un gruppo di pittori simile di Filadelfia, conosciuti come la scuola Ashcan, li aveva preceduti sposando la stessa filosofia proletaria.

Rubens fa visita a Rembrandt   


Qualche cosa mi dice, caro Rembrandt, che voi non amiate granché i miei dipinti’

Peter Paul Rubens visita il pittore olandese.  Lo raggiungono altri due amici, Van Gogh e Toulouse Lautrec. Con sgomento del suo creatore, Rubens scopre che Rembrandt ha adottato, come tavolo da pranzo, il suo ritratto di Helen Fourment, la sedicenne moglie-trofeo del pittore fiammingo.

 Il grande intelletto e la curiosità scientifica di Leonardo da Vinci furono responsabili dell’autodistruzione delle sue più grandi opere d’arte. Due capolavori sono scomparsi o rimangono frammenti inafferrabili. Uno di questi è il Cenacolo, ‘L’ultima cena’ un grande opera murale nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano – completato nel 1498.

La maggior parte dei dipinti murali nell’Alto Rinascimento furono creati in affresco, che al tempo di Leonardo era stato portato a un alto grado di perfezione. La tecnica era uno sviluppo degli affreschi romani e pompeiani. La differenza fu che gli antichi romani rivestivano il muro da dipingere in affresco con uno strato molto spesso di malto. Questo strato rimaneva umido per giorni e giorni e permetteva all’artista di applicare i suoi colori, pigmenti secchi mescolati con acqua, come e quando voleva. Il Rinascimento, invece, utilizzava strati molto più sottili di intonaco bagnato che costringevano il pittore a completare la sezione interessata entro i limiti di una giornata lavorativa. L’intonaco, una volta asciugato, non poteva essere successivamente dipinto per creare un affresco.

C’era un difetto dominante causato dalla calce presente negli affreschi rinascimentali. I pigmenti blu comuni in quel periodo, lo smalto e l’ultramarino naturale, rispondevano male alla calce presente negli affreschi, diventando invariabilmente marroni o neri. L’uso di tali pigmenti blu nelle tecniche di creare un affresco fu rapidamente abbandonato.

Lo scrittore ha partecipato con l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma al restauro degli affreschi di Pietro Lorenzetti (1310-20 circa) al grande cantiere decorativo della Basilica inferiore di San Francesco di Assisi. Egli individuò numerose occasioni in cui il pittore senese ha sostituito elementi di affresco. Questi dettagli furono cambiati con la tempera quando la composizione richiedeva l’uso del pigmento blu, come i panneggi dei santi. La tempera mancava la permanenza del’affresco e richiedevano un intervento particolarmente delicato da parte del conservatore.

Un modo di dipingere così laborioso e attentamente pianificato non si adattava per niente allo stile di Leonardo. Egli era più abituato a dipingere al cavalletto dove poteva studiarela progressione del lavoto, alterare, cancellare e fare i necessari aggiustamenti, tecniche non permesse nella pittura ad affresco. Così cercò di dipingere sulla superficie dell’ intonaco usando i colori che avrebbe usato quando dipingeva a mano e non come richiedeva la pittura ad affresco, colori mescolati solo con acqua.
Usò la tempera, cioè colori mescolati legati da una colla o da un tuorlo d’uovo (la tecnica dei primi pittori fiorentini). Per ottenere i morbidi effetti luminosi di luce e ombra che sono caratteristici dello stile di Leonardo, lavorò sopra i colori della tempera sottostante usandone altri mescolati con olio di noce. Era un esperimento nuovo e rischioso e non ebbe successo. Non molto tempo dopo il suo completamento, la natura incompatibile dei due strati di pittura cominciò a creare disparità tra di loro, causando un brutto sfaldamento dello strato pittorico.

Non aiutò il fatto che l’artista non fosse consapevole di quanto fosse umido il muro su cui dipingeva, non aiutato dall’avere le cucine del convento immediatamente dietro. Mentre gli storici incolpano la tecnica sperimentale di Leonardo per il rapido deterioramento della grande opera d’arte, è probabile che l’umidità del muro di mattoni alla fine, affresco o no, avrebbe distrutto qualsiasi dipinto creato sulla sua superficie.

Il successivo esperimento di Leonardo da Vinci fu la commissione del consiglio comunale fiorentino, firmata da Niccolò Machiavelli, per un dipinto murale della battaglia di Anghiari nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. Ancora una volta, era in conflitto con il suo metodo di lavoro di abbozzare il disegno e la composizione, modificandolo, aggiungendo e togliendo elementi e colori man mano che il dipinto procedeva. Per cortocircuitare il complesso processo necessario per dipingere un affresco e dare priorità alla sensazione di spontaneità, si rivolse all’encausto. Si tratta di una tecnica di pittura stabile e molto antica che utilizza colori mescolati con cera calda.

L’artista applica i colori con i pennelli, ma il colore viene più utilmente lavorato nella superficie usando spatole di metallo mentre è ancora caldo e malleabile. L’encausto potrebbe aver fatto parte della tecnica di pittura ad affresco dell’antico artista pompeiano. La tecnica fu usata soprattutto per i dipinti da cavalletto nell’Egitto dell’epoca romana e nei dipinti su tavola greci paleocristiani. Gli artisti del diciannovesimo secolo che sperimentavano tecniche nuove e antiche riscoprirono l’encausto e il pittore americano del ventesimo secolo Larry Rivers lo usò con successo.

Leonardo si basava su una descrizione dell’encausto scritta, non da un collega pittore, ma da uno scrittore e storico, la cui affidabilità qualsiasi artista tratterebbe con cautela come fonte. Inoltre, il suo amanuense, la Storia Naturale di Plinio il Vecchio, aveva già quindici secoli. La difficoltà di seguire le istruzioni di Mrs Beeton’s Book of Household Management impallidisce in confronto.


Sir Peter Paul Rubens (1603), dopo s la perduta, La battaglia di Anghiari
di Leonardo da Vinci; gesso nero, penna e inchiostro, pennello e acquerello,
evidenziato in bianco e azzurro.  Musée du Louvre, Paris.

Le ricerche dimostrano che gli antichi affrescatori pompeiani adottarono la pratica di applicare la cera sulla superficie dell’affresco per dargli un effetto luminoso e opaco. Gli artisti riscaldavano lo strato di cera facendolo penetrare e legare con i colori. Poi, lucidavano ancora e ancora l’affresco fino ad ottenere l’aspetto desiderato. Dai suoi scritti sembrerebbe che questo effetto sia quello che Leonardo da Vinci stava cercando di ottenere nel suo esperimento.

Leonardo, dopo aver preso la precauzione di essere pagato in anticipo per i suoi materiali, le impalcature, gli studi preliminari e i disegni su carta a grandezza naturale (cartoni), necessari per trasferire i disegni sul muro, tagliò le sue perdite e nel dicembre 1503 abbandonò il progetto.

Nei secoli successivi a Leonardo da Vinci, i pittori condussero esperimenti con tecniche pittoriche nuove o insolite, per lo più con risultati disastrosi. Gli artisti del diciottesimo secolo attraversarono una fase Rembrandtiana. Erano attratti dagli scuri e misteriosi effetti marrone-oro che il maestro olandese usava nei suoi ultimi anni. Artisti come Sir Joshua Reynolds e John Hoppner scoprirono che un metodo per risparmiare tempo per ottenere lo stesso effetto fu d’usare il pigmento marrone scuro recentemente introdotto, l’asfalto o la versione organica, bruno di mummia.

Quest’era prodotto macinando i resti di mummie egiziane, umani o animali, oppure, utilizzando il pigmento naturale stesso. I  pittori, alla fine, si accorsero che il colore, essendo bitume normale, non si sarebbe mai indurito e, come ne “La Battaglia di Anghiari” di Leonardo, si dissolveva sulla tela, portando con sé gli altri colori più stabili. Il bitume ha distrutto, col tempo, molti bei ritratti inglesi del XVIII secolo.

Per i pittori di oggi, i colori sono preparati industrialmente e in modo commerciale. Con tutti i loro meriti e nonostante i loro difetti, hanno soppiantato il giovane apprendista nello studio che macinava i colori sotto l’occhio critico del Vecchio Maestro.

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